Se ci vedete qualcosa della Lamborghini Countach, tranquilli, siete in buona compagnia e non vi trovate nemmeno fuori strada: la Lotus Esprit non solo è quasi coetanea della supercar italiana, ma qualcosa di italiano ce l’ha anche lei. Cosa? Il design, tracciato dalla matita di Giorgetto Giugiaro; la Countach, per la cronaca, è opera di Marcello Gandini. Muso spiovente, dunque, ma anche linee nette e spigoli la accomunano alla Lamborghini, rispetto alla quale però è nettamente più piccola, nelle dimensioni e nel motore. La S1, ovvero la prima versione della Esprit, è spinta infatti da un 4 cilindri 2 litri, a 16 valvole, capace di 160 CV a 6.200 giri. Se questa macchina resta sul mercato per 35 anni - pur attraverso molte evoluzioni - ed è una delle Lotus più amate di sempre, il merito è anche del contributo di Colin Chapman in persona (il genio fondatore della Lotus), che contribuisce alla progettazione e alla messa a punto. Ecco la storia della Esprit, senza la pretesa di menzionare tutte le (tantissime) versioni ed edizioni speciali prodotte.


Leggerezza prima di tutto, come sempre


La vera e propria ossessione di Chapman, in pista e su strada, è la leggerezza delle sue macchine. Negli anni Settanta le tecnologie e le conoscenze per lavorare la fibra di carbonio non c’erano ancora, non in campo automobilistico, ma ciò non impedisce alla Lotus di trovare vie alternative per ridurre il peso: ecco dunque la carrozzeria in vetroresina (GFRP) applicata sul telaio in acciaio. Il risultato? 898 kg, pochi, per un rapporto peso potenza come di consueto favorevole, che permette di raggiungere i 100 km/h con partenza da fermo in soli 6,8 secondi, mentre la velocità massima è pari a 198 km/h.


Veste aerodinamica molto curata


Più che sulla punta velocistica, in Lotus lavorano sulla deportanza (la capacità dell’aerodinamica di generare una forza verso il basso), in modo che la Esprit sia sempre sicura e prevedibile. Per ottenere il risultato, gli ingegneri lavorano a lungo in galleria del vento. Prima ancora, però, sono i telaisti a occuparsi di mettere su strada una macchina “sana”: ecco dunque le 4 sospensioni indipendenti, con quelle posteriori multibraccio, che lavorano su pneumatici 195/70 - 14 all’avantreno e 205/70 - 14 al retrotreno. Curiosità: la Esprit è dotata di un doppio serbatoio, per un totale di 56 litri e un’autonomia totale di oltre 700 km. La S1, questo il nome della prima Esprit, esce di scena nel 1978 dopo aver totalizzato meno di 900 esemplari venduti, ma con una presenza cinematografica molto importante in James Bond “The Spy Who Loved Me” (le ultime foto della gallery). La sostituisce la S2, che di fatto è un leggero restyling: si allargano i sedili, cambiano leggermente il paraurti e lo spoiler anteriori, i cerchi Speedline sono ridisegnati e al posteriore vengono utilizzati i fari della Rover 3.500. La S2 si farà ricordare soprattutto, però, per la versione John Player Special, in onore al marchio di sigarette, storico sponsor della Lotus in F1. Inconfondibile nei suoi colori nero/oro, è un tuffo al cuore per gli appassionati di motorsport, per i tifosi di Mario Andretti, Elio De Angelis o di Ronnie Peterson.


Dalla S2.2 alla turbo Esprit


Nel 1980 viene presentata la versione S2.2, a indicare l’aumento di cilindrata, che non porta a una potenza superiore (sempre a quota 160 CV), ma solo a un incremento della coppia e a una riduzione dei consumi. Per salire con il numero di cavalli si deve dunque andare sulla versione turbo: si passa a 210, per 240 km/h di velocità massima e 5,6 secondi per lo 0-100 km/h. Insieme alla sovralimentazione, questa versione si basa su un telaio rinforzato, lo stesso che viene utilizzato dal 1981 per la S3, aspirata, ma migliorata in tutti gli aspetti, in particolare nel comfort (senza però sacrificare prestazioni e agilità); la rumorosità cala infatti del 50%. Tornando un attimo alla turbo, da segnalare la versione speciale Essex, “multicolor”.


La più popolare, la Esprit del 1987


I gusti sono soggettivi, ma è parere abbastanza diffuso che la Esprit de 1987 sia la più riuscita ed equilibrata. Non dev’essere un caso (al netto delle difficoltà societarie di Lotus in quel periodo), peraltro, se per sei anni resiste sul mercato senza alcun intervento estetico, al contrario di quanto accaduto fino a quel momento. Lanciata a ottobre, codice di progetto X180, è rivista sensibilmente nel design e, in versione Turbo, adotta un cambio Renault al posto di quello della Citroen. Ciò costringe a rivedere il posizionamento dei dischi posteriori, non più al centro ma più tradizionalmente all'esterno. La potenza? 215 CV, alimentati da carburatori Dellorto. La versione aspirata esteticamente si distingue per l’assenza del vetro fra i due “piloni” posteriori, al di sopra del cofano motore. La scheda tecnica della Esprit aspirata eroga invece 172 CV, che le consentono una velocità massima di 222 km/h e uno 0-100 km/h in 6,5 secondi. Nel 1989 arriva invece la SE, la più potente mai prodotta grazie ai suoi 264 CV: 5 secondi è il tempo impiegato per scattare da 0 a 100 km/h, mentre la lancetta del tachimetro si ferma a 265 km/h. Per supportare l’incremento della potenza, i tecnici rinforzano il telaio mediante l’iniezione di kevlar nella struttura del tetto, utilizzando la tecnica Vacuum Assisted Resin Injection. La SE viene rivista nel 1992: le porte hanno un angolo di apertura più ampio, l’abitacolo è più confortevole, ma soprattutto l’ala posteriore viene montata più in alto (da qui, il nome HighWing), su due supporti più lunghi, per migliorare la visibilità e aumentare il carico. Ancora nel 1992 la potenza passa a 305 CV, erogati sempre dal 2.2 quattro cilindri turbo. Altre varianti sul tema sono la S4 e la S4S, la 300 Sport e la GT3. La concorrenza però inizia a farsi sempre più “esosa” e in Lotus non possono stare a guardare…


Il passaggio al V8



Nel 1996 si raddoppia: la Esprit passa da 4 a 8 cilindri, ovviamente a V. Non contenti, a Hethel rinforzano il 3.5 con una coppia di turbine; risultato: 350 CV a 6.500 giri e 400 Nm di coppia a 4.250 giri. La 2 posti inglese scatta così da 0 a 100 km/h in 4,9 secondi e, da 0 a 160 km/h, in 10,6 secondi; 270 km/h è il valore della velocità massima (numeri che la mettono sullo stesso piano delle Ferrari e delle Porsche dell’epoca). Suona quasi superfluo dirlo, ma le soluzioni tecniche - meccaniche e aerodinamiche - sono raffinate; idem per il peso, che rispetto a quello delle prime Esprit cresce fino a 1.325 Kg, ma resta comunque contenuto. Aumentano, e parecchio, le dimensioni dei pneumatici, che arrivano a 235/40 ZR17 all’anteriore e a 285/35 ZR18 al posteriore. Maggiorato ovviamente anche l’impianto frenante, della Brembo, con dischi da 296 mm di diametro davanti e da 300 mm dietro, supportato dall’ABS. Molto meno Lotus, rispetto al passato, la dotazione di optional: ecco l’aria condizionata, l’airbag per il guidatore, il lettore cassette Alpine (o la radio con lettore CD), varie tonalità per la pelle degli interni e la vernice metallizzata.


 

Fotogallery: Lotus Esprit, granturismo all'inglese