Non è necessario essere appassionati di motori a gasolio per conoscerlo: il filtro antiparticolato è noto a chiunque. Si tratta infatti di un dispositivo presente su parecchie diesel per abbattere (garantiscono le Case automobilistiche) le emissioni inquinanti da polveri sottili. Indicativamente nato all’inizio del millennio su idea del Gruppo PSA (che nel frattempo si evoluto, vedi qui), venne chiamato dai francesi FAP. Ma oggi sono diversi i nomi dell’analogo dispositivo oggi su numerose macchine dei Costruttori, che viene internazionalmente identificato come DPF, Diesel Particulate Filter. Va detto che, come spesso succede in materia di emissioni inquinanti, il FAP o DPF o come lo si voglia chiamare è da sempre al centro di polemiche (vedi qui). Ma, al di là dei dibattiti in materia, qui ci interessa ribadire, per quei pochi che non li conoscessero, i tre aspetti fondamentali del filtro antiparticolato.


Tris di punti chiave del DPF


1# Software. Cuore del DPF è il software di diagnosi e gestione: controlla di continuo il filtro antiparticolato. Obiettivo, assicurarne il funzionamento e la manutenzione. Talvolta, c’è un sistema che aggiunge un additivo al gasolio: riduce la temperatura necessaria per effettuare il sistema di rigenerazione. Il sistema raccoglie i gas combustibili nel collettore di scarico e li convoglia verso la marmitta catalitica: c’è il passaggio per il filtro, che è costituito da un supporto monolitico a base di carburo di silicio poroso, nell’impianto di scarico dell’auto, integrato con la marmitta catalitica. Quindi, i gas ripuliti procedono verso il vaso d’espansione e l’uscita. Insomma, il sistema aggrega il particolato dei gas di scarico in agglomerati di particelle senza un legame chimico: miscela al gasolio l’ossido di cerio. Alla fine, queste sostanze, più grosse del particolato originario, diventano "imprigionabili" dal DPF e non si disperdono in atmosfera.


#2. Anti-intasamento. Come tutti i filtri di qualsiasi genere, anche il DPF tende a intasarsi se non curato. Le soluzioni? In certi casi, è prevista la sostituzione. In altri, la rigenerazione: in città, sotto i 60 km/h, il sistema filtra i gas e trattiene le polveri dentro di sé; fuori città, oltre i 70 km/h scatta la pulizia. La centralina di monitoraggio effettua una diagnosi del sistema: se rileva un’eccessiva otturazione, avvia la pulizia iniettando una maggiore quantità di gasolio; così aumenta la temperatura e brucia il PM10 (materia particolata, particelle microscopiche, il cui diametro aerodinamico è uguale o inferiore a 10 millesimi di millimetro e che causano i blocchi del traffico, vedi qui).


#3. Allerta. Quando è il momento di pulire il filtro intasato e quindi procedere con il viaggio extraurbano, il guidatore viene avvisato dall’auto, generalmente con l’accensione di una spia luminosa. Se il conducente invece trascura l’alert, si avrà l’otturazione eccessiva del filtro, il suo danneggiamento e la sostituzione necessaria. Comunque, approssimativamente, viaggiando in città e nel traffico, meglio guidare la vettura dotata di DPF a 100 km/h per qualche chilometro e almeno ogni 500 chilometri. Viceversa, per i DPF con additivo, se sul display viene visualizzato un messaggio che accompagna l'accensione della spia "service", dovete ripristinare il livello dell'additivo che aiuta la combustione del particolato.


Qualche indicazione


Solo per dare un’idea approssimativa, la rigenerazione può avvenire così: se il cambio è manuale, mettere in quarta o quinta marcia (se è automatico, posizione D o S), quindi procedete per minimo 15 minuti o fino allo spegnimento della spia di controllo con una velocità di almeno 60 km/h a regime motore di 1.800-2.500 giri al minuto. In questo modo, la temperatura dei gas di scarico sale, e la fuliggine nel filtro dovrebbe essere bruciata. Nel caso in cui, invece, l’alert dovesse permanere sul display, meglio rivolgersi a un meccanico.