“La S4 impressiona non solo per l'enorme potenza del motore (montato in posizione posteriore centrale, longitudinalmente, ndr): è quattro ruote motrici, i differenziali sono meccanici come oggi. Mi ci sono trovato a mio agio, perché ha molte caratteristiche che prefigurano le macchine di oggi. Ecco, diciamo che la frenata non è pari alla potenza per cui l'impianto va gestito, altrimenti si rischia di mettere in crisi i materiali”. “La Delta S4 è una bomba che trasmette grandi emozioni a chi la guida, ma le stesse emozioni le trasferiva anche a chi la vedeva passare in speciale”. Per descrivere un’auto speciale, nata dal foglio bianco - in Abarth - per contrastare le Audi a trazione integrale, non potevamo non scegliere le parole di un pilota speciale. Uno che con la Lancia S4 non ci ha mai corso - perché troppo giovane - ma che ha avuto l’onore di guidarla in occasione di un test speciale, di cui gli amici di it.motorsport.com hanno dato conto qualche anno fa. Il pilota in questione si chiama Paolo Andreucci, ha vinto qualcosa come nove titoli italiani rally e il fatto che il suo nome sia legato ormai da tanti anni a quello di Peugeot non fa che rafforzare il valore delle sue parole.


S come sovralimentata


Delta S4: il nome ha una spiegazione molto semplice. Delta è Delta, il modello di origine, di cui resta, vagamente, solo la forma della carrozzeria. S sta per sovralimentata e 4 per le ruote motrici. Proprio dalla S vale la pena di cominciare, perché è qui che si concentra il capolavoro tecnico-ingegneristico Lancia (prima di leggere quanto segue, pensate che sono passati più di trent’anni…): il sistema è infatti doppio. Vale a dire che c’è un compressore volumetrico collegato meccanicamente all’albero motore che aumenta la pressione nei cilindri ai bassi regimi, regalando coppia fin dal primo tocco del gas (fondamentale per venire fuori rapidamente dai tornanti, in particolare quelli in salita). Quando poi i giri salgono, è la turbina azionata dai gas di scarico a diventare protagonista. Risultato: a fronte di una cilindrata di soli 1.759 cc, questo quattro cilindri arriva a erogare, nella versione da competizione, oltre 600 CV; 300 su quella stradale. La raffinatezza di questo propulsore si esprime anche nelle 4 valvole per cilindro con doppio albero a camme in testa, nelle bielle con la sezione ad H e nell’albero motore ricavato dal pieno.


La cura di ogni dettaglio


Tornando alla doppia sovralimentazione, tra i due compressori (volumetrico e turbo) vengono utilizzati due scambiatori aria-aria di grandi dimensioni, al fine di raffreddare l’aria in entrata, fondamentale per avere il massimo rendimento del motore. Come detto, la scelta di utilizzare i due tipi di sovralimentazione in un unico motore è una complicazione che l’ingegner Lombardi e il suo team decidono di affrontare perché permette di abbattere il vuoto creato dal turbocompressore ai bassi regimi: nel dettaglio, da 1.500 giri fino ai 3000, dà al propulsore una sovrappressione di circa 1 bar. Dai 3.000 giri in su entra in azione il turbocompressore KKK K-27; KKK K-26 per la versione stradale. Se si parla di sovralimentazione non si può non parlare di pressioni: in configurazione gara, ma solo per brevi tratti, si tocca il picco di 2,5 bar e una potenza massima di circa 650 CV.


Una brutalità gestita da tutte le ruote


Un motore come quello appena descritto è l’incubo di ogni trasmissione. Soprattutto i valori di coppia, così elevati, mettono sotto uno stress pazzesco tutti gli organi meccanici che devono scaricare tanta furia sul terreno. Ovviamente, per non dissipare tutto in continui pattinamenti (soprattutto nelle prove speciali su terra e neve), la scelta della trazione integrale è obbligata: si opta per uno schema con due differenziali autobloccanti e una ripartizione al 70% dietro. Ma andiamo con ordine: tutto origina da una frizione bi-disco a secco, che mette il collegamento l’albero motore con un cambio a 5 rapporti, ovviamente molto ravvicinati, a innesti frontali non sincronizzati. Nello stesso blocco cambio trova posto sia il ripartitore di coppia centrale, epicicloidale, sia un giunto viscoso Ferguson.


Un 4x4 molto evoluto (per l’epoca)


I differenziali anteriore e posteriore, come detto, sono autobloccanti (prodotti dalla ZF) mediante frizioni a dischi in carbonio e garantiscono bloccaggi di circa 60% per il posteriore e 40% per quello anteriore. A proposito di questo, lasciamo ancora una volta la parola ad Andreucci: “Sono rimasto colpito dal lavoro che i tecnici della Lancia hanno fatto sui differenziali trent’anni fa: non c'era l'elettronica di oggi eppure sono riusciti a scaricare in terra oltre 500 cavalli, disponendo di una buona trazione”. Per correttezza, bisogna aggiungere anche che lo stesso Andreucci ipotizza che la S4 da lui guidata sia stata “ingentilita” per permettere un utilizzo più facile e sicuro con degli ospiti a bordo. In ogni caso, la S4 debutta in una gara valida per il Mondiale nel rally RAC del 1985 (ultima prova di quella stagione). Il risultato? Una doppietta, clamorosa, con Henri Toivonen davanti a Markku Alén. Per il 1986 il risultato del Mondiale Rally sembra già scritto, invece i tanti problemi di affidabilità non permettono alla Lancia di realizzare il sogno mondiale. Non solo: al Tour de Corse, Toivonen e il suo navigatore Sergio Cresto perdono la vita. Un incidente (purtroppo non l’unico) che porta la federazione (la FISA) all’abolizione delle pericolosissime Gruppo B.


Telaio a doppia trave



Il telaio della S4 si basa su una doppia trave longitudinale con traverse saldate, sulle quali è vincolato un traliccio di tubi in acciaio di dimensione e spessore variabili in base alla funzione. La parte inferiore dell’abitacolo, in corrispondenza delle porte, collega idealmente il traliccio anteriore a quello posteriore per la migliore distribuzione degli sforzi, oltre che per assicurare un’ottima protezione in caso di impatto laterale. Anche la struttura portante dell’abitacolo è nata per funzionare anche da roll-bar.


200 esemplari stradali


Di Lancia Delta S4 omologate per la strada ne sono state prodotte soltanto 200, il numero minimo imposto in quegli anni dalla federazione. Nonostante non abbia mai vinto un titolo mondiale, questo è un vero e proprio modello di culto, attorno al quale si è scatenata una vera e propria febbre tra i collezionisti.

Fotogallery: Lancia Delta S4, un mito senza corona