La situazione nella centrale nucleare di Fukushima in Giappone, è seguita con preoccupazione in tutto il mondo. Oltre alle radiazioni sulle persone, il problema principale è quello della contaminazione degli alimenti, dell'acqua e dei beni materiali. E siccome molti prodotti giapponesi sono esportati, in occidente si sta diffondendo la paura di imbattersi in beni contaminati. Ne parliamo perché fra i tanti prodotti "made in Japan" ci sono anche le automobili e per evitare allarmismi, OmniAuto.it ha chiesto ad esperti quali Eugenio Picano, direttore dell'Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, e Pierino De Felice, responsabile dell'Istituto Nazionale di Metrologia delle Radiazioni Ionizzanti ENEA, di chiarire se esiste o meno un rischio di radioattività legato alle vetture prodotte in Giappone e non solo.

A RISCHIO NON SOLO LE AUTO PRODOTTE IN GIAPPONE

Premessa importante è che per l'Europa e l'Italia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il problema si pone più per le auto non giapponesi che per quelle che hanno un marchio di nazionalità nipponica. Questo perché la produzione della maggior parte dei Costruttori giapponesi è delocalizzata in prossimità dei mercati di destinazione (un'auto di volume come la Toyota Yaris, ad esempio, è prodotta in Francia). L'ironia della sorte vuole invece che tantissimi altri costruttori - tra cui Volvo, Ford, Opel, GM, Renault e PSA Peugeot-Citroen - dipendono da aziende giapponesi per la fornitura di componentistica, tanto che questa dipendenza ha causato, nei giorni scorsi, il blocco della produzione per mancanza di fornitura dal Giappone. E allora se un costruttore come Nissan ha dato inizio ad un programma di analisi delle proprie vetture (assemblate in Giappone) per verificare la presenza di eventuali tracce di materiale radioattivo, possono sussistere rischi anche per le auto prodotte anche altrove con pezzi giapponesi eventualmente contaminati?

AD OGGI I LIVELLI DI CONTAMINAZIONE SONO AL MINIMO

Su questo argomento il dottor Picano è stato molto chiaro: "E' un dato di fatto che uomini e cose provenienti dal Giappone dopo l'11 marzo sono risultati contaminati, anche se erano rimasti a centinaia di chilometri dal reattore di Fukushima". Tuttavia non bisogna allarmarsi: "la quantità di radioattività, rilevata ad esempio sulle valige in arrivo all'aeroporto di Chicago da Tokyo, era minima, tale da corrispondere all'equivalente di dose di poche radiografie del torace". In pratica, anche se c'era, parlare di radioattività significa tenere sempre a mente, come parametro di riferimento, che "ciascuno di noi è esposto ad una radiazione naturale (cosmica e terrestre) equivalente a circa 140 radiografie del torace pro capite per anno". A questo punto, riguardo alle auto (o pezzi di auto) si può dire che ad oggi "i livelli di contaminazione, se ci sono, presumibilmente sono minimi, e di impatto sulla salute molto limitato, configurando di fatto un rischio 'quasi zero' per la salute", ha detto Picano.

ALLARME LIMITATO ALLA ZONA DI FUKUSHIMA

Il fantasma della radioattività delle auto prodotte in Giappone è stato scacciato anche dall'Ingegner De Felice dell'ENEA: "L'allarme radiologico è limitato alla zona intorno alla centrale di Fukushima che è stata evacuata e nella quale non sono in corso attività produttive - ci ha detto - . I dati di concentrazione di radioattività in aria e di deposizione al suolo, all'esterno della centrale, oltre un'area di raggio di circa 30 km dalla centrale stessa, fanno escludere che si possa verificare una contaminazione delle merci (incluse le autovetture) di qualche rilievo radiologico e sanitario. Nelle stesse zone, le misurazioni dei livelli di radioattività nei prodotti alimentari (latte, vegetali a foglia larga,... ) indicano lievi tracce di radioattività (per lo più I-131) contenute ampiamente entro i limiti, molto restrittivi, previsti dalla normativa per tali prodotti alimentari".

I CONTROLLI IN FABBRICA POSSONO RIDURRE IL RISCHIO A ZERO

Inoltre, come ci ha confermato il direttore dell'Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, i controlli all'interno delle aziende possono davvero fare la differenza. "Questo potenziale rischio 'quasi zero' è del tutto azzerato con un controllo a monte, all'interno dell'industria e prima dell'immissione nella catena commerciale", ha detto Picano. Per di più a proposito di radioattività è cruciale il fattore "tempo". Tra i contaminanti ci sono sostanze, come ci ha spiegato il direttore, che come lo Iodio-131 hanno emivita fisica di 8 giorni. "Cioè, dopo una settimana la loro radioattività si dimezza e dopo 15 giorni si riduce al 25%. Ce ne sono altri, come il Cesio-137, che invece hanno emivita di 30 anni, e quindi possono rimanere in giro per un bel po' di tempo". Questo intervallo di tempo quindi rassicura l'automobilista, perché è chiaro che - visti i tempi di produzione e distribuzione di un'auto - ancor prima che questa venga finita di essere assemblata è "sicura". E sarà premura delle case automobilistiche controllare questi "intervalli temporali", come ad esempio sta facendo Nissan.

CHI INVESTE IN SICUREZZA CI GUADAGNA IN IMMAGINE

Le misurazioni e le analisi programmate dalla Nissan sono doverose, secondo l'esperto dell'ENEA, "ma costituiscono una misura precauzionale". Come già detto, "è da escludersi la presenza di livelli di radioattività di rilievo radiologico - ha ribadito De Felice -. Eventuali controlli a campione potranno anche essere effettuati in Italia, sempre a titolo cautelativo e a garanzia dei clienti italiani, sulle merci (auto incluse) importate dal Giappone". "Tutto quello che è investimento in sicurezza e sostenibilità porta all'industria che li mette in atto dividendi moltiplicati in immagine e fiducia del consumatore - ha commentato Picano -. La Nissan è andata oltre la legge, e ha imposto ai suoi prodotti standard di sicurezza più stringenti: può risultare alla fine un investimento lungimirante anche dal punto di vista commerciale. Chi per primo investe in sostenibilità e sicurezza può averne un vantaggio nella competizione economica globale".